Storia

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Il Sahara Occidentale è un territorio di circa 266000 Kmq che si affaccia sull’Atlantico per un migliaio di chilometri, confina con il Marocco, l’Algeria e la Mauritania. E’ in gran parte desertico, ma ricchissimo di risorse minerarie (soprattutto fosfati). Le coste sono pescosissime. La popolazione appartiene al complesso delle tribù Saharawi. Organizzate da secoli in modo autonomo, con forme proprie di lingua, cultura e organizzazione sociale, nomadi fino a tempo recenti. Prima dell’arrivo degli spagnoli le tribù erano numerose, 40 secondo la tradizione riunite in una confederazione. Verso la fine del periodo coloniale, il popolo Saharawi appariva già largamente sedentarizzato e urbanizzato, ma sempre attaccato alle proprie tradizioni.

L’origine delle tribù Saharawi si può ricondurre all’immigrazione degli arabi Maquil, provenienti dallo Yemen. Un lento processo di fusioni ha dato origine alle tribù di cui ancora oggi i Saharawi conservano la memoria e cui fanno risalire la propria origine. L’arabizzazione, molto intensa in alcune tribù, ha lasciato una traccia profonda nella lingua hassaniya, comune a tutte, molto vicina all’arabo classico. La religione è l’Islam sunnita, come nella maggior parte del Maghreb. L’organizzazione sociale era basata sul consiglio (Consiglio dei quaranta) che riuniva periodicamente i capi delle tribù per prendere collegialmente decisioni che riguardavano gli interessi della comunità. Tale struttura egualitaria è stata spesso indicata come riferimento tradizionale della democrazia Saharawi.

Il 14 dicembre 1960 l’ONU votò la risoluzione n. 1514 con la quale si riconosceva il diritto all’indipendenza per la popolazioni dei paesi colonizzati. Nel 1963 il Sahara Occidentale fu incluso dalle stesse Nazioni Unite nell’elenco dei paesi da decolonizzare e nel dicembre di due anni dopo l’Assemblea Generale riaffermó il diritto all’indipendenza del popolo saharawi, invitando la Spagna, l’anno seguente, a compiere un censimento della popolazione del Sahara Occidentale, atto necessario per organizzare il referendum richiesto dall’ONU fin dagli anni ’60. Il risultato indica la presenza nella regione di 74.902 persone e il 20 agosto 1974 la Spagna annunciò il suo parere favorevole per l’effettuazione del referendum di autodeterminazione del popolo saharawi. Pur tuttavia, ai primi del 1975, il re del Marocco Hassan II espresse la sua totale opposizione all’indipendenza del paese, malgrado il 12 maggio 1975 una missione dell’ONU recatasi in visita nei territori del Sahara Occidentale, riconfermasse il diritto all’autodeterminazione del popolo saharawi, riconoscendo di fatto il Polisario che, già da qualche mese, aveva cominciato ad effettuare operazioni di guerriglia contro la Spagna.

Il 31 ottobre 1975 il Marocco entrò con un esercito di 25 mila uomini nella zona contigua ai suoi confini con il Sahara Occidentale mentre la Spagna cominciò lo sgombero delle aree sotto il proprio controllo. Il 6 novembre 1975 re Hassan II fece organizzare la “marcia verde” con cui 350 mila marocchini entrarono nel Sahara Occidentale per verificare l’eventuale referendum e per porre le basi di una definitiva appropriazione dei territori del Sahara Occidentale, malgrado il 2 novembre dello stesso anno la Spagna confermasse il proprio impegno a rispettare l’autodeterminazione del popolo saharawi. Di fatto, però, la Spagna giunse segretamente a un accordo con Marocco e Mauritania per la spartizione del paese conteso in cui le forze saharawi iniziavano un’azione di resistenza armata, non del tutto documentabile, contro il Marocco e la Mauritania, che portò anche all’uso di bombe al napalm da parte marocchina contro insediamenti saharawi. La resistenza dette allora vita nel 1976 alla repubblica democratica araba dei saharawi, RASD. Nel 1979 la Mauritania firmò un accordo separato di pace, riconoscendo la RASD, lasciando gli oneri del conflitto in corso al solo Marocco che invase il restante territorio del Sahara Occidentale, costringendo all’esodo numerosi combattenti e famiglie saharawi che trovarono rifugio in algeria, tra l’altro nell’oasi di Tindûf. Il fronte Polisario intende la sua lotta armata come una guerra popolare di liberazione – pertanto non ha mai utilizzato metodi di terroristici, né in Marocco né altrove. Nei primi anni ottanta il Polisario bussa a tutte le sedi internazionali all’inizio gli si aprono le porte dell’organizzazione dell’unità africana (OUA), poi dell’ONU;

solo più tardi quelle del parlamento europeo. Il successo più clamoroso è l’ammissione della RASD all’OUA come stato membro nel 1982.

Nel 1991, con il conseguimento di un cessate il fuoco, l’ONU inviò in missione nel Sahara Occidentale una delegazione (minurso) col compito di vigilare sulla tregua e organizzare il previsto (e mai tenuto) referendum.

Nel 2003 James Barker, inviato speciale delle nazioni unite, propose un piano in 2 fasi, che, dopo una transizione di 5 anni in cui il Marocco e il Sahara Occidentale avrebbero governato insieme nei territori occupati, sarebbe dovuto culminare con il referendum, ma il piano non trovò il favore del Marocco.

L’8 novembre 2010 le forze marocchine smantellano con la forza il campo di Gdeim Izik, allestito dai saharawi a una decina di km dalla capitale occupata El Aiun, dove 20 mila saharawi si sono riuniti spontaneamente per rivendicare i propri diritti e contro le discriminazioni di cui sono oggetto sotto l’occupazione marocchina. Dopo un mese di resistenza, il campo è stato investito militarmente e completamente distrutto. Contemporaneamente i quartieri saharawi di El Aiun sono stati assaltati dall’esercito con violenze, arresti e l’uccisione di un giovane saharawi. Il Parlamento Europeo ha chiesto un’inchiesta dell’ONU sui fatti.

Il 2 e il 20 febbraio 2011, nella capitale El Ayun, decine di gruppi di manifestanti hanno protestato contro il blocco che detiene il controllo politico del Marocco, contro il re Mohammed VI e contro la gestione dell’estrazione delle risorse naturali. L’estrazione delle risorse sarebbe stata attuata dalle autorità in modo occulto nonostante l’accordo stabilito con l’Unione Europea di proteggere l’area del Sahara Occidentale. L’Associazione dei saharawi si appella chiedendo i danni causati dalle forze marocchine per il saccheggio avvenuto all’accampamento presso El Ayun e auspicando la cessazione dell’istigazione al razzismo ai danni della popolazione sahariana.

Circa 200000 saharawi, dei campi profughi di tindouf (Algeria) hanno realizzato una delle esperienze politiche e sociali più interessanti del nostro secolo: la costruzione di uno <<stato in esilio>>.

I rifugiati vengono distribuiti in 4 distinte tendopoli, ciascuna delle quali assume ai fini amministrativi il nome e le funzioni di un distretto regionale (wilaya): el ayoun, smara, dakhla e aousserd.

Ogni wilaya è divisa in 6 o 7 “province”, anch’esse con il nome di una provincia saharawi (daira). In questo modo, attraverso l’organizzazione spaziale dei campi, si ricrea l’identificazione ed il legame con la patria di origine.

I saharawi hanno voluto costruire un’organizzazione sociale dove tutti sono chiamati a ruolo attivo, dove sono valorizzati gli anziani e soprattutto dove le donne condividono responsabilità a tutti i livelli.

La priorità spetta all’educazione ed alla sanità, dove il ruolo delle donne è particolarmente importante. Tutti i giovani sono scolarizzati a livello elementare e ora anche medio ed esiste malgrado lo scarso materiale sanitario, una diffusa medicina di base.

In questo modo si evita l’instaurazione di quei meccanismi di attesa passiva, di fatalismo, smobilitazione, corruzione, così comuni nei campi profughi africani.

Gran parte dei mezzi materiali provengono dalla solidarietà internazionale.

Il largo margine di autonomia e di iniziativa lasciato ai comitati di base, ha stimolato l’ingegnosità e la creatività saharawi, che si esplica in attività come il recupero e il riciclaggio di qualunque tipo materiale e nella creazione di esperimenti agricoli.